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A Brera. La formazione e la prima attività
L’Accademia di Brera, fondata nel 1776 per volere dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, era il luogo che gli artisti milanesi e quelli che approdavano a Milano dalle altre città e regioni frequentavano per ottenere le patenti necessarie per esercitare i loro diversi mestieri: sarà così per tutto l’Ottocento e in parte ancora nel secolo successivo. Angelo Morbelli arriva a Brera nel 1867 e si iscrive il 22 dicembre alla Scuola di Elementi di Figura, tenuta da Raffaele Casnedi. Si muoverà poi tra le varie scuole, come era uso tra gli allievi dell’istituzione milanese: nel 1869 alla scuola di Prospettiva con Luigi Bisi, nel 1872 alla Scuola di Nudo e l’anno seguente alla scuola di Pittura, che era allora tenuta da Giuseppe Bertini (solo pochi allievi attendevano al magistero dell’ormai anziano Francesco Hayez). Nel 1879 è invece iscritto alla Scuola del Paesaggio con Luigi Riccardi. Le opere esposte in questa sala danno conto di alcune delle componenti della formazione di Morbelli. Il grande dipinto del 1880 raffigurante “Goethe morente”, che l’artista avrebbe donato alla Pinacoteca di Alessandria nel 1893, risente dell’insegnamento di Bertini e di tutta la tradizione ottocentesca della pittura storica: il tema della morte di un personaggio celebre (qui lo scrittore tedesco che in punto di morte esclama “Più luce! Più luce!” assistito dalla nuora Ottilia) era un topos diffusissimo ai tempi, e rimonta ad esempi quali la celebrata scultura di Vincenzo Vela Gli ultimi giorni di Napoleone o a dipinti che il visitatore più vedere anche nelle sale della Galleria d’Arte Moderna (ad esempio “La Morte della figlia di Tintoretto” di Eleuterio Pagliano). Di altre esperienze fatte a Brera risente invece l’altro dipinto presente, “La Galleria Vittorio Emanuele in Milano” del 1872: qui l’artista si rifà alla tradizione della pittura prospettica, che è ricordata in mostra con un esempio celebre del suo maestro Luigi Bisi (“L’interno del Duomo di Milano”), ma con un significativo scarto per quanto riguarda il soggetto: non più le celebri antiche chiese milanesi, che pure Morbelli tornerà a rappresentare negli anni della maturità, ma un edificio modernissimo in ferro e vetro, da pochi anni costruito dall’architetto Mengoni, nel quale interno ed esterno si confondono e la luce penetra nell’architettura, luogo dove la borghesia cittadina dell’epoca celebra i propri riti sociali nel segno della modernità.

Il pittore dei “vecchioni”
Angelo Morbelli è generalmente conosciuto come il pittore dei “vecchioni”. L’artista ha infatti dedicato gran parte della sua produzione pittorica, dai primi anni Ottanta del XIX secolo fino alla morte, all’attento studio dei momenti di vita quotidiana degli anziani ospiti del Pio Albergo Trivulzio, celebre organizzazione assistenziale milanese.
La produzione pittorica e scultorea della seconda metà dell’Ottocento vede gli artisti di tutta Europa, alle prese con la moderna società industriale, confrontarsi e rielaborare situazioni di marginalità e disagio sociale. Morbelli, esponente di punta del realismo sociale tra Lombardia e Piemonte, riesce a cogliere con grande sensibilità la condizione di abbandono e di solitaria meditazione degli ospiti del Trivulzio soffermandosi a tratti anche su occasioni di maggiore leggerezza e convivialità.
Proponendo un valido compendio della ricerca pittorica dell’artista, in questa sede sono messe a confronto le tele più significative dedicate ai cosiddetti “vecchioni”. Queste opere costituiscono infatti per l’artista l’occasione di sperimentare una pluralità di soluzioni formali e compositive, perfezionando la tecnica divisionista.
“In Giorni… ultimi!” e “Il Viatico”, realizzate tra 1882 e 1884, Morbelli, non ancora approdato al Divisionismo, presenta gli ambienti del Trivulzio e gli anziani ospiti proponendo inediti tagli fotografici.

“Giorno di festa al luogo Pio Trivulzio”, poco apprezzato in Italia ma acclamato all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, segna gli anni della svolta divisionista. Tra le medesime file di banchi la presenza umana si fa rarefatta, lasciando il posto ad una sensazione di abbandono che si acuisce maggiormente proprio in corrispondenza dei giorni di festa.

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“Il Natale dei rimasti e Mi ricordo quand’ero fanciulla”, assieme a “I due inverni” esposto nella sala V, costituiscono tre episodi del ciclo pittorico “Il poema della vecchiaia”, presentato alla Biennale di Venezia del 1903 raggiungendo un risultato di rara raffinatezza. La tecnica divisionista è ormai applicata con maestria e piena consapevolezza, l’atmosfera si fa ora pulviscolare e vengono messi a punto giochi di luce ed ombra. Chiude la serie, dal punto di vista cronologico, “Un Natale! Al Pio Albergo Trivulzio”, dove il vuoto dominante del grande salone sembra relegare in un angolo la presenza umana.

Morbelli e Milano tra tradizione e modernità
Piemontese di nascita ma milanese d’adozione, fin dagli anni della formazione Morbelli si fece attento cantore della realtà meneghina muovendosi tra tradizione e modernità. Conclusa la formazione all’Accademia di Brera, l’artista prese parte attivamente ai più dinamici e innovativi cenacoli intellettuali della città, tra cui la Famiglia Artistica.
Come già fatto per “La Galleria Vittorio Emanuele”, tra il 1887 e il 1889 l’artista, attratto dall’inarrestabile crescita urbana, rivolge la propria attenzione alla Stazione Centrale, vero emblema di progresso. Realizzando due versioni dal taglio compositivo molto simile, Morbelli riprende l’ingresso della locomotiva sbuffante sotto il grande arco di ferro e vetro della nuova stazione di Milano, inaugurata nel 1864 su progetto del francese Louis-Jules Bouchot.
Più tradizionale è il soggetto de “Le guglie del Duomo”, anch’esso replicato due volte dall’artista. Morbelli vi combina la fine applicazione della tecnica divisa con un taglio compositivo in linea con la tradizione vedutistica su cui si era formato a Brera.

Il profondo attaccamento di Morbelli a Milano si coglie inoltre nella scelta di lavorare a più riprese sull’interno di Santa Maria dei Miracoli, una delle chiese più amate dai milanesi dove le giovani coppie sposate tradizionalmente lasciavano fiori d’arancio sull’altare dedicato all’Assunta.
“Incensum Domino!” è giudicato dal pittore stesso come opera nodale nel suo approdare alla tecnica divisa: l’atmosfera misteriosa della composizione è giocata sul contrasto tra la calda luce che penetra dalle finestre e le sagome dei fedeli, avvolte nella penombra. Morbelli vi conduce un’indagine impeccabile sulla luminosità, i raggi di sole si posano sulle pareti e sul pavimento di cui è svelata la preziosa trama decorativa.
Diversi anni più tardi, nel 1914, con “Solatium miseris” l’artista affronta il medesimo soggetto in una composizione di grande potenza emotiva e spirituale. Morbelli, ormai anziano, riflette con lucidità sulla composizione e annota infatti: “Tener tutto il dipinto a grandi masse e nel mistero, i dettagli debbono scomparire, i confini confusi, figure idem, deve infine predominare il chiaro-oscuro finestre! E penombra chiesa!!!”.

Il rifugio della Colma
Nonostante l’intensa attività milanese, per tutta la vita Morbelli rimase fortemente legato alle colline del Monferrato, luogo di riferimento nella sua infanzia e rifugio bucolico in età adulta. La famiglia Morbelli aveva infatti acquistato una residenza di campagna alla Colma di Rosignano, avente una posizione panoramica in affaccio sui colli circostanti. Nella Colma Morbelli trovò non solo un rifugio di vita agreste ma vi installò anche il suo atelier facendone un punto nevralgico di incontro per i numerosi pittori che gli erano amici quali Giuseppe Pellizza da Volpedo, Emilio Longoni e Leonardo Bistolfi.
“La prima lettera”, presentata in questa sede, costituisce un’opera dal carattere intimo e famigliare. La protagonista è infatti Maria, giovane moglie dell’artista qui ritratta en plein air, incorniciata da un pergolato in affaccio sui colli circostanti. Se a livello iconografico aderisce alla tradizione pittorica ottocentesca, costellata di figure femminili immerse nella lettura, l’opera si mostra più audace a livello pittorico. Realizzata tra il 1890 e il 1891 la tela anticipa infatti l’imminente svolta divisionista dell’artista ed è soprattutto nella resa della figura femminile che si coglie l’attento lavoro sulla divisione del tono.
La Colma si afferma come soggetto prediletto dell’artista nella sua maturità, quando andava concludendosi il ciclo di opere dedicate al Pio Albergo Trivulzio. Il giardino della residenza si presta ad essere ritratto in ogni suo angolo e scorcio, articolando alcuni elementi ben riconoscibili in una pluralità di soluzioni compositive. Morbelli realizza vedute della Colma con la pioggia e con il sole, nelle ore di luce intensa del mattino o studiando i più caldi colori pomeridiani. L’artista dà vita a raffinate composizioni in cui sperimenta la possibilità di adottare nuove soluzioni pittoriche, diverse da quelle di derivazione accademica, mettendo a punto la tecnica divisionista ed ottenendo risultati di vibrante luminosità e di prezioso cromatismo. “Tempo di pioggia e Il giardino alla Colma”, qui esposte, testimoniano in maniera esemplare questa fase della

produzione dell’artista. Nelle due tele ricorre l’armonizzarsi dei ritmi orizzontali con l’elemento verticale, costituito dall’albero, e il dolce aprirsi del paesaggio sul tanto famigliare e caro panorama circostante.

La figura femminile, tra maternità e prostituzione
Lo sperimentalismo sul colore e sugli effetti di luce ha portato Morbelli a sviluppare, a cavallo fra anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, alcune variazioni su soggetti intimi, legati al rapporto di coppia e al tema della maternità.
L’artista si accosta inizialmente al tema con “L’ultima alba. Gran Dio morir sì giovane!” ritraendo in chiave drammatica una donna giacente a letto, accudita dal marito. Un’analoga impostazione della figura femminile, e dell’inquadratura del letto, è ripresa in “Alba serena”, qui esposta, ribaltando il soggetto in positivo e legandolo al tema della maternità. L’opera testimonia l’acuirsi dell’interesse per la resa degli effetti di luce in una stanza oscura, e propone in modo rinnovato il rapporto fra uomo e donna. La definizione della composizione è frutto di un attento studio condotto servendosi di scatti fotografici e di un serrato dibattito con Vittore Grubicy cui l’artista al tempo era legato da un rapporto commerciale.
Lavorando su variazioni compositive e studiando meticolosamente gli effetti di luce, l’artista realizza tra il 1891 e il 1893 “Amor materno” e “Alba felice”, esposte in questa sede. Morbelli si accosta al tema della maternità, soggetto pittorico per eccellenza, riuscendo a delineare scene di sommessa intimità, andando verso soluzioni di minor teatralità e maggiore naturalezza nella definizione del rapporto tra madre e figlio.

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